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Nei testi raccolti nel volume si percepisce la critica a un mondo letterario chiuso e asfittico, che considera il giallo letteratura di serie B. Che ne pensa? e cosa pensa, in particolare, della polemica sul giallo che, tra l'altro, ha interessato grandi critici come Filippo La Porta?
A queste due domande si dovrebbe rispondere con un saggio. Purtroppo tanta critica che riguarda il giallo, è improvvisata e cavalca il momento favorevole. Ma se andiamo indietro scopriamo una quantità di pregiudizi che mi hanno fatto arrabbiare da quando ho cominciato a pubblicare. Mi arrabbio ancora quando scopro, senza stupirmi, adesso, che molti critici conoscono la storia del giallo italiano dal 1990 in poi. Non sanno cos'era prima e quanta e quale è stata la battaglia, e com'è stata, combattuta da pochi scrittori (io c'ero) contro la critica, appunto, ma soprattutto contro gli editori e i loro pregiudizi. Sul saggio di Filippo La Porta, ho scritto e parlato a lungo. Ho trovato punti con i quali convengo, ma ho trovato anche l'antica diffidenza verso la letteratura di genere, mascherata da un velo di sufficienza.
Nei suoi testi si rinviene anche una sorta di dibattito tv/letteratura e una sottile ironia sul mondo della televisione che ha snaturato il Suo Sarti Antonio. In Sarti Antonio e la via dell'inferno , mi sembra, Lei ha cercato di riprenderselo.
Sarti Antonio è mio e me lo gestisco io. Nei limiti che lui stesso mi consente. Che la Tv intervenga sui romanzi da sceneggiare, non è novità, ma si deve consentire all'autore di tali romanzi di esprimere il proprio parere. Si tratta, in fondo, di figli suoi. Criticare certe scelte e certi tagli, è doveroso. Lo ha fatto Chandler: potrò farlo anch'io? Con tutto il rispetto.
Chi è il nuovo Sarti Antonio post-mortem?
Non lo so. Ci sto ancora pensando.
Chi è il nuovo io narrante?
Io non lo considero un io narrante. Per me è un'entità che sa, conosce il romanzo prima ancora di averlo letto (quindi scritto) e come tale si comporta. Gli è permesso tutto, compresa la critica ai personaggi, agli avvenimenti, al mondo che gira attorno alla storia.
Lei è tra i padri del giallo italiano. Com'è cambiato il mondo del giallo italiano dal 1970 a oggi?
Anche qui ci vorrebbe un saggio. Intanto non mi sento padre di niente e nessuno. Sono uno scrittore che si è trovato a raccontare, in un momento nel quale le storie italiane non interessavano. Meglio: erano snobbate. Ha avuto la fortuna di muovere le acque stagnati del poliziesco italiano e di seguirne gli sviluppi, nel ben e nel male. Spesso assieme a dei giovanotti con i quali dividevo certe idee di giallo. Per dire del cambiamento basta questo: ieri nessuno (intendo editori, critici, studiosi, tranne qualche straordinaria eccezione) voleva sentir parlare di autori italiani. Oggi li cercano. Troppa grazia.
La denuncia sociale filtra spesso dai Suoi testi, senza mai appesantirli. Crede che il giallo/noir sia oggi l'unico genere in grado di rappresentare la realtà?
Assolutamente no. Tutti i generi letterari (come tutti i generi artistici) sono in grado di rappresentare la realtà. Ammesso che lo si voglia fare. Ci sono tanti modi per raccontarci. Si tratta di trovarli. O meglio, di cercarli.
Nel nuovo ciclo di Santovito, indaga, insieme a Guccini, la storia del dopoguerra italiano, rinvenendo storie che sembravano doversi esaurire nel filone neorealista, e mescolando abilmente memoria storica e giallo. Anche i Suoi nuovi romanzi risultano ispessiti e problematicizzati proprio a partire dal ciclo suddetto. Ce ne parla?
Intanto Santovito non è poi nuovo nuovo. Il primo romanzo (Macaronì) è uscito dieci anni fa e dieci anni sono tanti per un romanzo. Poi, la mia intenzione, quando ho iniziato a scrivere con Sarti Antonio, era di utilizzare il giallo, oltre che per il divertimento della scoperta, anche per raccontare il mio mondo, quello che vivevo e vivo. Tant'è che il primo romanzo ( Le piste dell'attentato ) mi fu restituito dall'editore (Garzanti, per chi fosse interessato) perché l'intento politicizzante prevaricava la trama gialla vera e propria . Eravamo nel 1974 e quelle parole mi hanno fatto felice. Era ciò che volevo fare.
Quanto è importante Bologna, “ex città più democratica del mondo”, per i Suoi romanzi? Dove porta la via dell'inferno?
Senza Bologna non ci sarebbero stati i miei romanzi. Almeno non così come li ho scritti. Venivo dalla montagna, ero giovane, mi portavo dietro una cultura montanara, che in città non contava e non serviva. Bologna mi ha protetto e aiutato. Ci vivevo bene. Ho ricambiato cercando di capirla, di scoprirla. Bologna non si mostra facilmente. Si nasconde e bisogna andarla a cercare, saperla guardare in un certo modo.
Dove porta la via dell'Inferno? Come scrivo nelle ultime righe del romanzo I sotterranei di Bologna , la via dell'Inferno porta all'Inferno che sta sopra. Infatti, Sarti Antonio, Pedro e Pellicano si accingono a lasciare i sotterranei. I tre “ sono arrivati alle scale dell'Inferno. Sarti Antonio le ha già imboccate ”. Tornano in superficie. Nella città l'inferno.
16 novembre 2007
(pubblicato su www.romanoir.it il 20.11.2007)
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Roma Noir 2007
Luoghi e nonluoghi nel romanzo nero contemporaneo
a cura di Elisabetta Mondello
(Robin Edizioni 2007)
Concorso Letterario
Roma Noir 2008
per tre racconti inediti
Vincitori
1° classificato
Il focolare
di
Davide Martirani
2° classificato
Vedo nero (Baby E.)
di
Andrea Floris
3° classificato ex aequo
La cosa nera
di
Roberto Santini
3° classificato ex aequo
La bellezza
di
Marco Bocci
Leggi i racconti
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Che cos'è Roma Noir?
Non è una nuova etichetta dell’ipermercato culturale contemporaneo. Né l’ennesimo slogan a effetto, in anni in cui tendenze e scritture vengono spesso definite a partire dai titoli delle antologie che lanciano i giovani esordienti.
Dal 2003 Roma Noir è un appuntamento annuale all’Università di Roma “La Sapienza”. Uno spazio che tenta di incrociare e di far dialogare due territori, quello di chi (scrittori, critici, case editrici, direttori di riviste) in questi anni ha “sdoganato” definitivamente il noir dal ghetto della letteratura di second’ordine con quello dell’Università, intesa nel senso delle sue componenti (studenti, docenti e, fisicamente, aule di un ateneo) ma soprattutto quale luogo di creazione/trasmissione di un’idea del mondo che, nel caso della letteratura, frequentemente si mantiene distante da alcuni ambiti della produzione e della lettura.
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