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L'opera di Douglas Lindsay si inserisce altresì in una nuova tendenza che avvicina sempre più pericolosamente il punto di vista della narrzione in prossimità dell'assassino, cogliendone gli aspetti più umani e spesso più vulnerabili, ma rappresentandone anche i colpi di genio con genuina ironia. Barney però non è colto e machiavellico e spesso si esprime malamente, il suo approccio alla realtà è semplicistico e popolare e la cosa provoca nel lettore un piacevole straniamento dovuto alla sorpresa di doversi confrontare con un antieroe del tutto comune. Il nostro non è quasi mai artefice del proprio destino e per lo più lo subisce barcamenandosi come meglio può tra colpi di scena e la routine dell'everyday life.
In questo secondo romanzo della serie poi Barney, solitamente chiassoso e divertito, è costretto a indossare i panni di un monaco e a rifugiarsi in un luogo quasi isolato a Nord. Mentre l'attenzione mediatica, famelica e cieca attribuisce al barbiere serial killer ogni sorta di omicidio, i suoi antagonisti brancolano nel buio e Barney ha tempo a sufficienza per riflettere sul suo passato, sul rapporto con la scellerata madre con la passione per i cadaveri surgelati, sul'assenza del rapporto con la moglie, mediocre e fin troppo silenziosa e sul suo lavoro di barbiere fatto di lame, rasoi e tavolta di gocce di sangue sul pavimento.
Douglas Lindasy dimostra inoltre un rapporto altamente empatico con l'arte cinematografica e televisiva. Tutto il romanzo risulta piacevolmente permeato dai riferimenti più disparati al cinema pulp, alle colonne sonore, alla soap opera “torbida” in stile Peyton Place. Sta all'attenzione del lettore sapersi introdurre gradualmente all'interno di un gioco di rimandi e recupero dei modelli, alti o bassi che siano, con cui l'autore si è divertito a giocare durante la stesura. Inoltre più che al dettaglio organico Lindsay tiene molto alla godibilità delle vicende e alla costruzione minuziosa dei suoi personaggi, così ben stilizzati nei loro tic, nevrosi e abitudini da risultare pienamente tridimensionali.
In definitiva Il monastero dei lunghi coltelli si propone come un testo sicuramente utile a compredere le nuove dinamiche del genere a livello europeo. Altamente godibile il romanzo è narrato attraverso un'ottima architettura narrativa sicuramente predisposta alla serialità ma allo stesso tempo approcciabile singolarmente.
(pubblicato su www.romanoir.it il 04.04.2008)
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Roma Noir 2007
Luoghi e nonluoghi nel romanzo nero contemporaneo
a cura di Elisabetta Mondello
(Robin Edizioni 2007)
Concorso Letterario
Roma Noir 2008
per tre racconti inediti
Vincitori
1° classificato
Il focolare
di
Davide Martirani
2° classificato
Vedo nero (Baby E.)
di
Andrea Floris
3° classificato ex aequo
La cosa nera
di
Roberto Santini
3° classificato ex aequo
La bellezza
di
Marco Bocci
Leggi i racconti
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Che cos'è Roma Noir?
Non è una nuova etichetta dell’ipermercato culturale contemporaneo. Né l’ennesimo slogan a effetto, in anni in cui tendenze e scritture vengono spesso definite a partire dai titoli delle antologie che lanciano i giovani esordienti.
Dal 2003 Roma Noir è un appuntamento annuale all’Università di Roma “La Sapienza”. Uno spazio che tenta di incrociare e di far dialogare due territori, quello di chi (scrittori, critici, case editrici, direttori di riviste) in questi anni ha “sdoganato” definitivamente il noir dal ghetto della letteratura di second’ordine con quello dell’Università, intesa nel senso delle sue componenti (studenti, docenti e, fisicamente, aule di un ateneo) ma soprattutto quale luogo di creazione/trasmissione di un’idea del mondo che, nel caso della letteratura, frequentemente si mantiene distante da alcuni ambiti della produzione e della lettura.
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