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Il nero, il “marcio”, scivola leggero, scosso dal vento, atterra ovunque e si attacca addosso alle persone. Come coriandoli sono molteplici e vari i protagonisti, e, si sa, i coriandoli finiscono dove meno te l'aspetti: nelle ombre del porto, in un opaco e trasudante centro fitness, tra le scartoffie di un commissariato fiction-style, in un centro massaggi gestito da cinesi, nel laboratorio segreto di un genio della chimica, dietro i separé di loschi night club dove tutto è lecito. E rimangono in bilico, addosso a personaggi sempre pronti a darsi una scrollata. Perché il coriandolo è leggero, è piccolo, non soffoca e non seppellisce. E così tre inseparabili e petulanti vecchietti, un ispettore di polizia, devoto alla poesia dantesca e sottoposto al fervore crociato di una commissario arrivista, e una bellissima prostituta, che di tutte le mestieranti è Regina di nome e di fatto, uniscono le proprie forze contro la minaccia di tre integralisti islamici pronti a tutto e terribilmente goffi.
Il tiro di coriandoli, tuttavia, è un'esplosione festosa e proprio attraverso questo filtro un romanzo come “I ciccioni esplosivi” deve essere letto e trova il suo perché.
“Esplosione” perché la vicenda muove i propri passi da casi di autodeflagrazione spontanea che colpiscono persone obese e la cui responsabilità pende inesorabile sulla testa di Simona, la nipote di uno dei tre vecchietti.
“Festosa” perché la chiave di lettura è lo humour, la leggerezza di una narrativa che non perde mai l'occasione di trattare temi di profonda attualità come la minaccia terroristica, il problema dell'obesità e la catena di macchinazioni che il mercato dell'immagine impone ai propri “sudditi”, da emeriti sconosciuti soprappeso a giornaliste infagottate e schiave della camera da presa, il sesso come mezzo per raggiungere qualsiasi fine
Un modo di raccontare semi-comico che in Italia ha fatto la fortuna di autori come Stefano Benni.
Leggere un romanzo noir-comico-grottesco è sicuramente qualcosa di nuovo. Ma è scartabellando tra le note biografiche dell'autore che si incontra la particolarità di un personaggio come Pelagio D'Afro: particolarità che non è unitarietà in quanto si parla di un collettivo di quattro scrittori, alcuni dei quali già conosciuti dal pubblico con lo pseudonimo di Paolo Agaraff e per il caso editoriale de “Il sangue non è acqua” (ediz. Pequod) che tanto successo ha ottenuto negli ambienti affini alla letteratura lovecraftiana.
Pelagio D'Afro è/sono Giuseppe D'Emilio, Arturo Fabra, Alessandro Papini e Roberto Fogliardi.
Parliamo dunque di scrittura “a otto mani e a quattro teste”, un esperimento alla Wu Ming, il collettivo più famoso in Italia, che comunque sta smovendo molto più di quel che sembri il panorama letterario (già lo stesso Paolo Agaraff, con Fogliardi, Papini e il qui assente Gabriele Falcioni, avevano suscitato un certo interesse).

(pubblicato su www.romanoir.it il 09.09.2009)

   


Roma Noir 2008
"Hannibal the Cannibal c'est moi?" Realismo e finzione nel romanzo noir italiano

a cura di Elisabetta Mondello
(Robin Edizioni 2008)
























Concorso Letterario
Roma Noir 2009
per tre racconti inediti


Vincitori

1° classificato
Sala d'attesa
di
Carmen Maffione

2° classificato
Terapia d'urto
di
Silvia Premoli

3° classificato ex aequo
Il demone della Buonanotte
di
Andrea Franco

3° classificato ex aequo
Dolcemente verso il basso
di
Massimiliano Govoni


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