Certo Michelangelo Merisi da Caravaggio era un assassino, fujuto per ventura dalla prigionia di Malta, ma Sua Santità stava valutando la possibilità della grazia per quel pittore che usava la luce come un pennello, spietato e drammatico come i «…tristi tempi, mala tempora, padre superiore».
Se l'era portata giù, fin dentro le Catacombe, il sepolcro della Santa una bocca vuota, grido muto a cercare il corpo di Lucia, spoglia per generali e imperatrici e infine serbato a Venezia.
«Don Michelangelo, è scuro, mi scanto».
«Scendi».
L'aveva ritratta così, esanime come la santa della luce spenta barbaramente con un pugnale al collo – decapitata forse, ma non si pittano le sante con la testa tagliata, e aveva dovuto riattaccargliela con uno sgarro di colore – , poi le aveva assestato una ruvida carezza sulla nuca irrigidita.
«Brava».
Giornate di posa.
Lento il tempo sulla tela, macchie di colore sulle spalle nude, sul petto, che lui poi con insospettata pazienza le puliziava.
Don Michelangelo era inquieto come il mare di Ortigia, lampi di malotempo in quegli occhi che la scrutavano per ritrarla. Che certi giorni l'accarezzavano e altri la ignoravano, spersi in un pensiero oscuro.
Meglio assecondare quel pittore furioso – ferma, zitta, chiudi quegli occhi – ma così bravo da fare di una buttana una santa che spalancare le cosce ai militi della guarnigione.
Forse sì, era stato un soldato.
O un brigante che spogliava fimmine e viaggiatori.
Gli toccò rivederla così, al Merisi, riversa su una sponda dell'Anapo.
Scannata come Santa Lucia, ma senza una madre a piangerla, senza un vescovo a benedirla,
senza i seppellitori, senza diaconi e lucore di elmi.
Glieli diede lui.
In un quadro scurùso, enorme, tagliato da una lama di luce che spiove a illuminare una ragazza esangue, troppo piccola e inerme, una lanterna spenta da un soffio violento.
|